lunedì 16 luglio 2012

I RAGAZZI CATTIVI


Erano due giorni e due notti che aspettavamo; mi sentivo nervoso come un cavallo in mezzo alla folla. Il tipo di Catania ci aveva detto: lunedì ore 02.00. Erano le 19.00 della domenica pomeriggio e Zippo s'era già scolato tutto l'alcool che avevo per casa, a mala pena ero riuscito a salvare una bottiglia di acido muriatico. Finalmente arrivò sul mio cell il messaggio di conferma; buttai giù due anfetamine e dissi: "Okay!" "Cazzo! Cazzo! Era ora" disse Zippo. Presi il mio giubbotto di serpente e misi la pistola dentro i calzoni. Una lama da quindici, nascosta negli stivali, mi seguiva eternamente.
Zippo scaldava già la moto, io accessi la mia. Feci brillare una "Lucky" in bocca puntando un magnifico tramonto color sangue che cominciava a farsi spazio nel giorno. Avevo il cazzo duro e dritto come quella volta che ,sotto il tavolo, misi le mani tra le cosce di mia cugina mentre proferivo verbo e vino con mio zio appena uscito di galera, accusato, forse ingiustamente ma neanche tanto, d'aver ammazzato un tizio a martellate, che gli rompeva i coglioni sul Palermo che in quel periodo perdeva una partita dopo l’altra.
Partimmo quindi lasciando l'asfalto distrutto dietro di noi e dopo un niente i pistoni delle nostre "bambine" cantavano canzoni d'amore sull'autostrada.
Arrivammo a Catania che era sera con una fame che ci strappava le budella, e ci fermammo in una trattoria alle porte della città.
Dentro c'erano soltanto lo schiavo, magro e con i denti marci, il padrone e due negri bastardi dell'esercito americano tutti tirati a lucido. Prima di sederci buttammo giù un paio di whisky giusto per darci una calmata; Zippo fischiettava una vecchia ballata del "Boss". Prendemmo posto. Lo schiavo ci portò patate fritte ed una bistecca più dura delle ruote della mia "bambina"; la birra ghiacciata ci viaggiava in gola a velocità supersonica e cominciai a rilassarmi. Accendemmo due sigarette e sfortuna volle che ci voltammo a guardare i selvaggi in uniforme ed uno dei due sorridendo ci mostrò dalla mano un paio di corna. A Zippo cominciarono a girare i genitali  come le pale di un elicottero ed accarezzò automaticamente il calcio della sua pistola pronto ad estrarre. Lo trattenni. I due scoppiarono a ridere: noi avevamo le pistole, loro le braccia come rami d'ulivo. Dopo un po' "l'esercito" si alzo ed uscì sghignazzando. Noi finimmo l'ultimo litro ed andammo a pisciare. Chiamai lo schiavo e pagai. Zippo mi guardò male, non eravamo abituati al conto, ma quella era una notte che volevo stare tranquillo. Fuori l'aria era fredda e pungente. Mi sistemai bene il cazzo nelle mutande e m'accesi l’ultima del pacchetto. Successe quindi la cosa che più mi fa incazzare in assoluto! Il negro delle corna, quel lurido figlio di una troia africana, quello sterco di vacca putrefatto: POSAVA IL SUO CULO MERDOSO SULLA MIA BAMBINA CROMATA!!!
Nessuno aveva mai osato tanto! Solo un tizio, in terra di Spagna, l'aveva fatta cadere per sbaglio, e lo lasciai in una pozza di sangue ed ossa macinate.
Pensai: "'FANCULO TUTTO!" e tirai fuori il mio figlioccio da quindici. Il bastardo  smontò avvicinandosi a me, l'altro si teneva un po' largo. Zippo osservava serafico la scena. Sapeva che per me era una questione d'onore e non poteva intromettersi nonostante ne avesse una gran voglia.
Feci la cazzata di scagliarmi contro come un cane idrofobo, senza una strategia, ma il sangue mi bolliva come la lava del vulcano all'orizzonte. Il negro, con una pedata mi fece saltar via la lama prendendomi poi in piena faccia con un dritto che avrebbe steso un cammello. Volai per un paio di metri e mi fu di nuovo addosso, ma da terra lo centrai con un calcio nelle palle e si piegò in due. In un attimo fui in piedi presentandogli sul muso il mio anfibio 44. Immediatamente dopo sentii un dolore fortissimo alla schiena, l'altro mi aveva colpito con un pugno di ferro ed era pronto a rifarlo sulla testa mettendomi ko, se non fosse stato per Zippo che fece volare il suo "ragazzo da quindici" fino al polso del verme. "Mio fratello" ha sempre avuto un sublime  naturale talento  per il lancio. I due coglioni gemevano a terra come due donnette isteriche: una scena pietosa!
Zippo recuperò "il ragazzo" che era ancora conficcatto nel polso dell'africano e lo pulì dal sangue sulla candida uniforme americana; quindi ci scaldammo un po' le zampe sui reni dei due bastardi. Cercai le "Lucky" ma erano finite. Presi il pacchetto al negro delle corna che giaceva moribondo sull'asfalto. Fumava "Poll" alla menta: sigarette da finocchi. Tirai via il filtro e l'accesi. Montai in moto, guardai la sveglia: Cazzo! Eravamo in ritardo. Scheggiammo via verso il centro di Catania su di un copertone solo. Entrammo in città a luci spente e ci fermammo all'angolo della via indicata dal tizio. Lo notammo e lui notò noi. Prese una sigaretta cercando il fuoco tre volte: il segnale. Partimmo a razzo tirando fuori i cannoni e puntandoli addosso al tizio e ad un altro che ci confessò subito d'avere famiglia (E CHI CAZZO SE NE FREGA!!!"). Due sacche piene di grana erano posteggiate su di un Fiat Fiorino. Zippo le prese mentre tenevo sotto tiro i due. Tanto per fare un po' di scena mettemmo via le pistole e scaricammo sui due tizi un paio di palate pesanti. Assicurammo le sacche alle moto e ripartimmo di volata. Naturalmente riprendere l'autostrada sarebbe stato come assicurarsi il premio per la cazzata dell'anno. Quindi imboccammo una serie di strade secondarie che avevamo studiato prima del colpo. Tutto filò liscio come il culo di una biondina di mia conoscenza. Arrivammo a casa che era l'alba, mettemmo le bambine a nanna e salimmo le sacche. Contammo quasi trecentomila testoni di grosso e medio taglio ed ero più di quanto ci  aspettavamo. Zippo per l'emozione si fumo sei canne e diciotto sigarette non stop. Dopo di che ci sbracammo sul letto e tirai fuori mezza bottiglia di tequila che avevo nascosto sotto il materasso. Buttai giù una lunga sorsata e la passai a Zippo. Il mio caro amico, bruciando un pezzo da cinquecento per accendersi la settima canna, finalmente parlò: "Cazzo! che notte meravigliosa!"  Me la passò sorridendo ed io lo guardai e sorrisi anch’io.








lunedì 9 luglio 2012

MAI SPOSARSI!

C’è un errore di sostanza, come un gioco perverso di qualcuno che si sia divertito a combinare due elementi incompatibili e guardarne compiaciuto l’inesorabile fallimento di un esperimento impossibile, nascondendo il segreto dell’assurda e irrealizzabile convivenza dell’acqua e dell’olio, del gatto e del topo, della verità e della bugia, del ghiaccio e del sole.
Potrei scomodare eminenti luminari della magnifica arte del “gratta e vinci un cervello lessato”, della sublima disciplina del “Futti futti che Dio perdona a tutti!” della setta malefica degli psichiatri e psicologi che a ogni risposta hanno una domanda quasi sempre seguita da una fattura, ma questa volta non è necessario. Non ricorrerò quindi ai loro ingegni da lestofanti per spiegare ciò che è sotto gli occhi e le mascelle di tutti, che conosciamo nel profondo e nella superficie del nostro cuore, cioè l’impossibilità, la follia, il degrado dell’intelligenza e della sensibilità, la violenza e la costrizione demente, il ridicolo e a volte la vergognosa negazione di quella parola che viene chiamata vita e molto spesso non lo è, ma soprattutto l’incommensurabile ed oceanica deflagrazione di coglioni che un uomo ed una donna si danno all’atto di contrarre matrimonio! 
Un maestro del nostro tempo, Massimo Troisi, in una delle sue delicate e argute opere cinematografiche: “Vorrei che fosse amore invece era un calesse” fece pronunciare ad un suo personaggio una frase che è essenziale e magnifica nella sua semplicità: “Un uomo e una donna sono le persone meno adatte a sposarsi tra di loro!” Che dire…un genio! Mi rammarico che la signora con la falce c’è ne abbia privato prematuramente, chissà, avendone il tempo, quali altre perle di saggezza avrebbe potuto regalarci. Io che vidi il film quando ero ancora “signorino” ne rimasi estasiato e folgorato come quel tizio sulla via di Damasco, ma con l’imbecillità che distingue qualsiasi uomo prima dei sessant’anni non ne conservai memoria! Ma non affrettiamo i tempi, non precipitiamo le cose, andiamo per gradi e cerchiamo di capire. Ho aperto questo scritto dicendo che c’è un errore di sostanza, ma qual è la sostanza o meglio l’essenza dell’uomo e della donna? Ma soprattutto qual è realmente la missione primaria della nostra esistenza? Vogliamo folleggiare con le parole? Ma sì folleggiamo! Anzi no! Fatelo voi che io non è ho nessuna voglia!!!

C’è un errore di sostanza, come un gioco perverso di qualcuno che si sia divertito a combinare due elementi incompatibili e guardarne compiaciuto l’inesorabile fallimento di un esperimento impossibile, nascondendo il segreto dell’assurda e irrealizzabile convivenza dell’acqua e dell’olio, del gatto e del topo, della verità e della bugia, del ghiaccio e del sole.
Potrei scomodare eminenti luminari della magnifica arte del “gratta e vinci un cervello lessato”, della sublima disciplina del “Futti futti che Dio perdona a tutti!” della setta malefica degli psichiatri e psicologi che a ogni risposta hanno una domanda quasi sempre seguita da una fattura, ma questa volta non è necessario. Non ricorrerò quindi ai loro ingegni da lestofanti per spiegare ciò che è sotto gli occhi e le mascelle di tutti, che conosciamo nel profondo e nella superficie del nostro cuore, cioè l’impossibilità, la follia, il degrado dell’intelligenza e della sensibilità, la violenza e la costrizione demente, il ridicolo e a volte la vergognosa negazione di quella parola che viene chiamata vita e molto spesso non lo è, ma soprattutto l’incommensurabile ed oceanica deflagrazione di coglioni che un uomo ed una donna si danno all’atto di contrarre matrimonio! 
Un maestro del nostro tempo, Massimo Troisi, in una delle sue delicate e argute opere cinematografiche: “Vorrei che fosse amore invece era un calesse” fece pronunciare ad un suo personaggio una frase che è essenziale e magnifica nella sua semplicità: “Un uomo e una donna sono le persone meno adatte a sposarsi tra di loro!” Che dire…un genio! Mi rammarico che la signora con la falce c’è ne abbia privato prematuramente, chissà, avendone il tempo, quali altre perle di saggezza avrebbe potuto regalarci. Io che vidi il film quando ero ancora “signorino” ne rimasi estasiato e folgorato come quel tizio sulla via di Damasco, ma con l’imbecillità che distingue qualsiasi uomo prima dei sessant’anni non ne conservai memoria! Ma non affrettiamo i tempi, non precipitiamo le cose, andiamo per gradi e cerchiamo di capire. Ho aperto questo scritto dicendo che c’è un errore di sostanza, ma qual è la sostanza o meglio l’essenza dell’uomo e della donna? Ma soprattutto qual è realmente la missione primaria della nostra esistenza? Vogliamo folleggiare con le parole? Ma sì folleggiamo! Anzi no! Fatelo voi che io non è ho nessuna voglia!!!








mercoledì 4 luglio 2012

E' tornato Mescalito!


Sempre più spesso mi chiedo se chi penso di essere è chi sono veramente. Ci sono dei piccoli segnali che, senza che io intervenga volontariamente, mi si stanno evidenziando. Ad esempio quella faccia che scelgo di mostrare su questo riquadro con accanto il mio nome (vero o inventato che sia) e che mi affanno a far sembrare autentica autousando (penosamente) l'autoscatto, ha qualcosa di inautentico ...che può non trasparire agli occhi degli altri ma che io non posso fingere di non vedere. C'è una piccola falla, un piccolo strappo nella maschera che ancora mando in giro presentandola (anche a me stesso) come la mia faccia, in cui ancora, ma sempre meno, ho paura di infilare il dito e poi due e poi tutta la mano fino a strappare tutto... Ci sono momenti in cui addirittura mi voglio autoconvincere che è dell'autentico me che si tratta; ma nella mia testa, fievolmente ma sempre più chiaramente, sembra iniziare a riemergere come un un discorso o un profumo che ha il sentore di antico. Come una vecchia lezione che ascoltai un giorno che non so dire di un tempo che forse non fu nemmeno di questo me che sembro sempre meno essere. Se pongo tutta la mia attenzione a questa vocina essa sembra zittirsi; rimane muta e ho come l'impressione che il relatore rimanga in attesa, con uno strano sorriso sulle labbra, ricominciando a sussurrare non appena la mia attenzione viene posta su qualche altro soggetto.  Non sembra, questa lezione, voler passare per la mente cosciente; preferisce la memoria periferica, quella mai perfettamente a fuoco, i sogni del primo mattino, le sensazioni del primo sonno, i retropensieri, le quinte della coscienza; il relatore mi appare con il suo sorriso strano appena dopo aver cercato di convincere me stesso o qualcun altro che “sono quello di sempre”. Si perchè anche fuori di me, qualcuno inizia a percepire la trasformazione in atto (ho detto trasformazione?) Ma sarà poi grave trasformarsi esattamente in quello che non si sapeva di essere ma che si è sempre stato a propria cosciente insaputa? Ho capito che è inutile indagare... se questa voce continua a sussurrare sempre più forte presto sarà chiara e intuisco fin d'ora che riuscirò prima io a strappare la maschera che il relatore a farsi capire.

Comunque sia e chiunque sia, grazie al Relatore...

Una mail onirica

MAIL:
“Ti ho sognata, era un pò che non mi capitava. Ero solo a Milano di notte e stavo salendo le scale ferrate di un sottopassaggio. Ad un certo punto ho sentito la tua voce che mi chiamava, mi sono girato e c'eri tu vestita con un paio di jeans ed un maglione bianco a collo alto. Ci siamo abbracciati perché era tanto che non ci vedevamo e tu hai voluto assolutamente che venissi a casa tua perché volevi farmi vedere una cosa. Arrivati mi hai mostrato fiera i cinque forni elettrici che avevi comprato, ed io ti ho chiesto perché cinque, e tu mi hai risposto quasi risentita perché il sabato e la domenica non cucini mai!
Poi hai preso dall'armadio dei quadri che erano come dei televisori sottilissimi da dove vedevi la tua vita e la vita degli altri, ti ho chiesto se spiavi anche me e tu hai sorriso e mi sono svegliato guardando la mia vita.”
RISPOSTA:
“E' un sogno straordinario! Io non possiedo i cinque forni elettrici e il sabato e la domenica non cucino mai! E, ad essere sincera neppure in settimana. In realtà però possiedo qualcosa che mi fa vedere dentro la mia vita e talvolta anche dentro quella degli altri. La tua è tanto tempo che non la vedo più ma, so, che potrei guardarci dentro e vedrei le cose che tu vorresti che io vedessi. Beh il concetto non è proprio semplice e scorrevole ma credo che tu abbia capito.
Ma quando ci si vede?”.


martedì 3 luglio 2012

Viva la Spagna!

Ieri sera io e mia moglie abbiamo visto la partita in piazza dove era stato allestito un maxi schermo. Sono un tifoso della nazionale, sono antico come i vecchi valori calcistici. Tanto per capirci mi ritengo un'esteta del calcio che considera Roberto Baggio un'opera d'arte da conservare nella memoria collettiva. Sono un cultore del gesto tecnico, amo il calcio che è per me uno degli sport agonistici di squadra piu' belli ed emozionanti. Mi vergogno quando vengono massacrati migliaia di cani per le vie o per gli scandali delle scommesse. Mi vergogno quando si cerca di allentare la tensione sociale attraverso una finale europea. Mi dispiaccio quando la nazionale perde e la Lega parla di Balotelli come del "negher" prima padano e poi "carne da catena".
Ci sono delle cose però che mi fanno veramente incazzare, una di queste è la barbarie a cui abbiamo assistito. Ho visto bicchieri di plastica disseminati nella piazza e i cestini vuoti, carte e cartacce ovunque. Quattro deficienti sotto spirito  che s’indignano perché il  Comune poteva spendere più' soldi per allestire un maxi schermo ancora più  grande.  Al terzo goal della Spagna mi arrendo all'evidenza e alla superiorità della squadra avversaria e mi allontano. Nel percorso calpesto due bicchieri di vetro, faccio un  giro largo e passo dalle parti del Torrazzo, la gente ha parcheggiato “ad minchiam”. Anna mi fa notare la targa  della torre medioevale, alcuni avventori del bar vicino ci stanno pisciando sopra indisturbati. Si danno il turno ad annaffiare le mura storiche della città sotto gli occhi indifferenti dei vigili urbani. Ridono e scherzano tra di loro, poi saltano sulle loro auto luccicanti e sgommano alla ricerca di altri luoghi per riempire la vescica e poi segnare il territorio con le loro maschie urine. Anna mi strattona e mi allontano.
Viva la Spagna!!

   

giovedì 21 giugno 2012

Era mio padre

Ormai è un mese che ho seppellito mio padre, io stesso ho aiutato quelli delle pompe funebri a metterlo nella cassa, io ho sollevato, insieme ai muratori, la sua bara per la tumulazione, assistendo inerme alla chiusura definitiva con la lastra di marmo bianca e di questo me ne porterò dentro la colpa, per sempre, senza conoscerne il motivo. L’uomo che usa il cemento e la cazzuola per riporre  inesorabilmente mio padre dietro un muro è stato un mio compagno di giochi. Mentre lavora ricordo il giorno in cui, appartenendo a bande diverse, lo centrai in testa da lontano con una pietra grigia, liscia e molto dura. Rammento l’arco del mio lancio e la felicità pura d’averlo colpito e il suo sangue e dopo suo padre che parla con mio padre animosamente e mio padre che non riesce quasi a nascondere la soddisfazione di questo mio gesto mascolino e la mia sorpresa per la mancata punizione e il silenzio dopo tra me ed il muratore mentre fumiamo una sigaretta e mi stringe la mano con la sua salutandoci, callosa e forte, e ambedue pensiamo che mai più chiameremo qualcuno papà e che solo adesso capiamo quanto sia vitale che qualcuno ci chiami con questo nome.